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Se citiamo Realmonte, cittadina poco distante da Agrigento, pensiamo subito alla Scala dei Turchi, ma questo piccolo borgo offre molti patrimoni, soprattutto naturali, da scoprire e conoscere. C'è un insolito ma spettacolare tesoro da scoprire e visitare, una bellezza nascosta si trova nel sottosuolo: una miniera di sale che ospita un luogo di culto unico in Italia.

È la Cattedrale di Sale di Realmonte, che, insieme alla miniera di Racalmuto e a quella di Petralia Soprana, è una delle tre miniere siciliane di salgemma ancora attive, con una produzione di kainite e circa 500mila tonnellate di sale all’anno.

È un luogo dal fascino imperdibile, che narra un’antica tradizione di questo territorio, legato all’ estrazione del sale.

Il giacimento salino della Miniera di Salgemma a Realmonte, si trova nella contrata di Scavuzzo è di origine mesozoica, formatasi circa 100 milioni di anni fa, uno dei più grandi e antichi dell’intera Sicilia. Questo sito si estende fino a oltre 600 metri di profondità, conservando un enorme quantitativo salino, la maggior parte ancora da estrarre. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, questo luogo è stato impiegato per l’estrazione salina, da cui si ottiene il noto Sale di Sicilia, che è ancora oggi commerciato in tutto il mondo con grande successo.

Questo giacimento non è solo un importante sito di estrazione del salgemma ma, è anche un luogo di culto unico al mondo, seppure poco noto.

La “Cattedrale del Sale”, chiesa singolare nel suo genere, è stata realizzata dai minatori intorno al 2000 ed è interamente costituita e decorata nel sale.

Accedendo grazie a dei bus navetta è possibile viaggiare in un modo cristallino, quasi magico ed incantato: attraverso gallerie e cunicoli di vari livelli, scavati dai minatori stessi, è possibile ammirare quello che è un tesoro unico al mondo per le sue particolarità.

Le pareti sono di halite purissima(nome scientifico del salgemma): tutto è scolpito col sale, dall'altare al pulpito, dal gruppo scultoreo della Sacra Famiglia alla raffigurazione di Santa Barbara, inclusi i bassorilievi, il battistero e la mensa dove è raffigurato l’Agnello, simbolo di Cristo.

Tutto è un’incantevole sfumatura che va dal bianco al grigio chiaro in particolare il cosiddetto “rosone”, formatosi dall’incrocio del salgemma con altri sali.

Il salgemma, offre bellezze dovute alla sua peculiarità: cerchi concentrici di colori diversi, spirali che si incrociano fra loro e generano delle onde dai chiaroscuri suggestivi e seducenti, onde che sembrano quelle del mare… un luogo di pura seduzione ed incanto che lascia senza fiato.

 

 

La storia racconta di due giovani, Rosalia, figlia di un ricco signore di Realmonte, e Peppe, un giovane di umili origini. I due ragazzi si incontrarono un giorno per caso, quando Rosalia tornava dalla passeggiata quotidiana, in compagnia della sua governante e Peppe trasportava un sacco pieno di fave.

due si innamorarono perdutamente l’uno dell’altra. Ma come in tutte le storie che si rispettano, il loro amore fu subito ostacolato dal padre di Rosalia, che non voleva per la figlia un povero operaio come marito.

Sconsolata per non poter vivere pienamente quell’amore amore, Rosalia iniziò a non toccare più cibo né acqua e lentamente iniziò a deperire. A quel punto il padre consultò un medico, il quale disse che la ragazza era malata di ‘tristezza’ e ordinò delle lunghe passeggiate all’aria aperta che divennero quindi occasione d’incontro fra Peppe e Rosalia

Questo però non sfuggì all’occhio malevolo e invidioso della vecchia governante, che raccontò tutto al padre della fanciulla.

Furente per l’inganno, il padre decise allora di rinchiudere Rosalia in un monastero sperduto lontano da Realmonte per porre fine a quell’amore.

Ma, Rosalia riuscì a fuggire da casa e raccontò tutto a Peppe. I due amanti, afflitti e sconsolati, presero la più drammatica e dolorosa scelta: se non potevano vivere insieme, sarebbero morti insieme “uniti per la vita e per la morte”.

A questo punto la storia diverge. Alcuni dicono che i due ragazzi si siano arrampicati in cima alla Scala dei Turchi, altri che abbiamo raggiunto la poco distante scogliera di Capo Rossello; comunque sia, l’epilogo è lo stesso e Rosalia e Peppe si sono lanciati nel vuoto, precipitando a picco in mare, mano nella mano.

Si narra che, alcuni anni dopo, proprio nel punto esatto dove i due giovani rinunciarono alla vita, spuntarono due scogli legati da una sottile lingua di roccia.

La formazione di pietra è indicata sulle mappe come “scoglio Gucciarda”, ma la gente del posto è convinta che si tratti di Rosalia e Peppe e la chiama “U Zitu e a Zita”.

 Molti giurano che, nelle notti di luna piena quando il mare è in bonaccia, chi si trova a passare con un’imbarcazione nei pressi può udire la dolce voce di Rosalia che canta una nenia triste su questo sfortunato amore mai vissuto.

A pochi passi dalla Valle dei Templi, si eleva dalle spiagge dorate una rara bellezza geologica: la Scala dei Turchi che con i suoi gradoni bianchi, domina da secoli la costa di Realmonte ed è uno dei simboli della Sicilia.

Le sue origini risalgono al Pliocene, tra i dai 2,5 ai 5 milioni di anni fa. Il sollevamento delle terre nei pressi dello stretto di Gibilterra ha comportato l’isolamento del mar Mediterraneo dall’oceano Atlantico causando così il prosciugamento delle acque e la sedimentazione di vari minerali: carbonati, gessi, salgemma, gessi. Quando lo stretto di Gibilterra si riaprì, l’acqua invase il bacino provocando il deposito dei sedimenti marini sui fondali e successivamente, lo scontrarsi della placca africana con quella euro-asiatica, contribuì a far riaffiorare dalle acque questa conformazione. Il vento, la pioggia e il mare hanno infine contribuito ad erodere la superficie.

È una falesia, cioè un costone a picco sul mare, composta da marna, una roccia argillosa e calcarea ed il suo tipico colore è dovuto ai Trubi che le conferiscono delle sfumature uniche dal bianco al crema, dal giallastro al bruno; è inoltre costituita da microfossili, gusci di conchiglia dalle dimensioni piccolissime che vivevano sui fondali marini prima che la Scala dei Turchi emergesse dalle acque.

I Trubi sono una formazione geologica tipica della Sicilia e la loro composizione è all’origine del profilo a gradoni della Scala dei Turchi. Il vento e l’acqua consumano con maggiore facilità la marna, mentre la roccia calcarea è più resistente. La differente velocità di erosione ha portato alla comparsa dei grandi “scalini”, mentre gli agenti atmosferici continuano a modellare la scogliera ancora oggi. La Scala dei Turchi presenta una forma ondulata, mossa, quasi a richiamare le onde del mare ai suoi piedi, con linee morbide, dolci e rotondeggianti.

L’imponente ed unico monumento naturale non è solo uno straordinario patrimonio di valore e bellezza, ma è soprattutto un bene molto fragile. L’erosione, il turismo di massa e anche i tristi casi di abusivismo edilizio hanno compromesso la stabilità del promontorio.

Il motivo per cui il sito viene chiamato “Scala dei Turchi” affonda le radici ai tempi dei saraceni. La leggenda locale, infatti, narra che i corsari saraceni del ‘500 i “Turchi”, cioè tutte quelle popolazioni che un tempo erano dedite alla pirateria, si arrampicavano su quei “gradini” naturali raggiungendo la cima della scogliera per rubare e conquistare i territori.

Ma, quando venne fondata la città di Realmonte, avvenuta secondo la ricostruzione storica in seguito alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, ovvero dopo la sconfitta degli Arabi ad opera dei Cristiani, le loro incursioni diminuirono drasticamente.

Secondo i documenti dell’epoca, furono proprio le navi del Governo siciliano a dare l’assalto ai Saraceni: esisteva infatti una disposizione dei Vicerè per la quale chi catturava un turco ne diventava proprietario; da qui nasce il famoso detto siciliano ‘cu piglia un turcu è so’: chi riesce a catturare un turco se lo prende come schiavo, detto che tutt’oggi è vivo in Sicilia e viene citato nelle occasioni in cui regna disordine e  ognuno cerca di arrangiarsi come può.

La parola ‘Scala’, è probabilmente un’alterazione del vocabolo di origine araba ‘Kallà‘, ossia “luogo riparato dai venti” o  ‘porto’.

Le viste turistiche, le qualità storico-geologiche e le attrattive culturali della falesia, hanno portato l’Amministrazione comunale alla pratica per il riconoscimento della località come patrimonio dell’Unesco, al fine di tutelare la marna dal turismo selvaggio di massa. I numerosi crolli hanno compromesso la stabilità del promontorio e rappresentano un pericolo per l’incolumità delle persone.

Un luogo di osservazione per godere della bellezza della Scala dei Turchi è il belvedere del FAI (Fondo Ambiente Italiano) a ridosso della strada provinciale di Realmonte realizzato nell’ambito di un progetto di recupero e valorizzazione del territorio insignito della targa “I luoghi del cuore”. La Scala dei Turchi è stata proposta per diventare sito Patrimonio UNESCO

Al successo mondiale del sito hanno contribuito i romanzi e la serie tv di Andrea Camilleri con le indagini del commissario Montalbano ma anche le attenzioni di  alcuni registi che hanno trasformato il sito in set per i loro film, fra i quali Malena del regista premio Oscar Giuseppe Tornatore.

Questo straordinario posto, come molti altri in Sicilia è inoltre legato alla storia di due sfortunati amanti, due dei tanti Romeo e Giulietta dell’isola, cioè la leggenda di  ‘U Zitu e a Zita’.

 

Il Giardino del Gattopardo è sicuramente uno dei luoghi più rappresentativi del famoso romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che con i suoi 4100 mq offre una vera e propria immersione fatta di ricordi visivi, profumi e sensazioni che lo scrittore visse durante la sua infanzia. Il giardino, è inserito nel contesto urbano e collocato su un piano più basso del complesso monumentale del Palazzo Filangeri Cutò.

Questo “paradiso di profumi”, come lo scrittore lo definisce ne “Ricordi d’infanzia”, rappresenta non solo un simbolo del romanzo ma anche un importantissimo patrimonio artistico, culturale e architettonico, confermato dalla convenzione stipulata dal Comune di Santa Margherita di Belice con la Regione Siciliana attraverso l’ Azienda Foreste Demaniali e con l’Università degli studi di Palermo che grazie ad una fitta collaborazione hanno portato al ripristino e alla valorizzazione del Parco, delle sue architetture ma soprattutto della ricca e variegata flora.

Di fatto questo Eden si caratterizza dalla presenza di numerose specie diverse, appartenenti ad altrettante famiglie vegetali, molte delle quali rare e affascinanti per bellezza e caratteristiche.

Realizzato sul finire del XVII secolo da maestranze palermitane, esso si caratterizza per un canale d’acqua sotterraneo che ha consentito alle piante la sopravvivenza fino ai nostri giorni ed in particolare durante il periodo di abbandono avvenuto durante il XX secolo.

Durante il Settecento, il giardino era ricco di piante esotiche, aranceti e nella grande fontana, trovavano spazio le anguille del fiume Belice per i banchetti del Principe. Durante il 1812-1813, Nicolò I Filangeri, ospitò nel palazzo il Re Ferdinando, la Regina Maria Carolina di Napoli e Sicilia ed il Principe Leopoldo. Proprio in riferimento a questo evento, Giuseppe Tomasi chiama il borgo descritto nel Gattopardo, Donnafugata in onore della Regina scappata da Napoli.

Il giardino, è collegato al Palazzo Filangeri Cutò dalla Scala di Leopoldo, possiede due viali principali da cui si diramano numerosi vialetti secondari che permettono di inoltrarsi e perdersi nella vasta area verde; ove si intersecano le vie principali è possibile ammirare una fontana a forma di quadrifoglio.

Il Dipartimento di Scienze Botaniche dell’università di Palermo ha individuato la presenza di un piccolo boschetto di bambù che sorge vicino ad una delle quattro fontane, piante ligustri, numerose palme di vario genere, pini, lecci e Nolina Longifolia, pianta molto rara in Sicilia, numerose aiuole, siepi di alloro, bordure di bosso. Di particolare rilevanza e bellezza è il cosiddetto “Giardino delle yucche”, chiamato così per la presenza delle Yucche Elephantipes.

Sono inoltre presenti una voliera, una serra e quattro bellissime fontane: due dalla forma a quadrifoglio, la più grande circolare con al centro un piccolo isolotto caratterizzata da piante acquatiche e l’ultima della dei bambù per la presenza di tali piante.

Il muro che delimita uno dei viali, fa da cornice ad un altro polmone verde della città il Parco della Rimembranza, un tempo probabilmente sede della gabbia delle scimmie.

Attorno all’area del Giardino Storico del Parco, cioè di quel che rimane dell’impianto originario del giardino “formale”, esistono altre aree che circondando il complesso monumentale costituito dal Palazzo e dai resti della Chiesa Madre, quali il Parco della Rimembranza, i cortili del Palazzo e gli spazi contigui, il Giardino delle Yucche.

All’interno è stato inaugurato il Museo delle Cere, con scene tratte dal romanzo e film di Luchino Visconti, il Museo del Gattopardo, ove è esposta una copia autentica dell’originale manoscritto e del dattiloscritto del Principe, donata da Gioacchino Lanza Tomasi, appunti, lettere, documentazione e foto d’epoca dello scrittore. Un documento assolutamente unico nel suo genere è una registrazione su nastro della voce dello scrittore: la registrazione, nata per scherzo dopo un regalo, contiene la voce dello scrittore che recita uno dei suoi racconti intitolato “Lighea”.

Il Giardino fa parte del Parco Letterario del Gattopardo.

 

I Parchi Letterari sono luoghi difesi dalla dimenticanza, dall’incuria che il tempo serba alla memoria, spazi fisici ove è possibile fare un tuffo nel passato e riportare alla luce le immagini, i ricordi di un epoca nascosti nell’oblio;  sono Riserve protette che tutelano i ricordi, territori in cui è possibile riscoprire la vita, l’emozione di una pagina letteraria vagando fra mete ed itinerari i luoghi che l'hanno ispirata.

La loro importanza è tale da esser finanziati dalla Fondazione Nievo, dal Touring Club Italiano e dall Comunità Europea.

Il Parco Letterario intitolato a Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957) comprende un vasto territorio della Sicilia occidentale che da Palermo (la sede palermitana è a ridosso della storica piazza Marina) dove lo scrittore nacque e scrisse Il Gattopardo, si estende a Santa Margherita di Belice nello splendido Palazzo Filangeri Cutò, dove trascorse l'infanzia e a Palma di Montechiaro ( sede Palazzo Ducale), feudo di famiglia. Tre luoghi non solo contribuiscono alla realizzazione delle numerose iniziative che ivi si svolgono, ma sono realmente gli scenari delle pagine del suo romanzo più famoso e importanti ricordi dell'autore.

Pubblicato dopo la sua morte avvenuta nel 1958, il romanzo “Il Gattopardo” divenne celebre per il film di Luchino Visconti, con Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon, Il romanzo narra la storia del Principe di Salina e della sua famiglia nella Sicilia dello sbarco dei Mille all'alba della fine di un regime e rappresentò un caso letterario clamoroso.

Il Parco, è un'articolazione di suggestioni e di luoghi. Come Palermo, fascinosa ed enigmatica città che "il Gattopardo "descrive in uno dei ricorrenti momenti di transizione e di grandi cambiamenti che una magia tutta siciliana riesce a riassorbire in immobilità. Gli itinerari del Parco Letterario la percorrono per gran parte del centro storico includendo la residenza della famiglia Tomasi e Villa Boscogrande, set di alcune scene del film di Visconti.

Il Parco non è solo una rivisitazione dei luoghi dell’Autore e dei suoi scritti, ma è anche produzione di idee e di attività culturali: Museo delle cere, caffè letterari, concerti, attività teatrali, itinerari sentimentali, degustazioni di prodotti tipici.

A partire dal 2003, il Parco è sede del prestigioso Premio Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa, conferito a scrittori  le cui opere e tematiche sono legate all’incontro di culture, popoli, diversi. Numerosi sono stati gli ospiti che hanno impreziosito il Premio: Claudia Cardinale, Luca Zingaretti, Michele Placido, Franco Battiato, Leo Gullotta, Angelo Branduardi e numerosi altri ancora.

Fra gli scrittori premiati ricordiamo : Abraham B. Yehoshua, Tahar Ben Jelloun, Kazuo Ishiguro, Amos Oz.

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