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La Pista Ciclabile di Menfi nasce come riconversione della vecchia linea ferroviaria Castelvetrano – Ribera, con lo scopo di offrire ai visitatori, un turismo eco-sostenibile.
Attraversa territori di particolare interesse e fascino ambientale fra i quali la Borgata Marinara di Portopalo.
La greenway misura complessivamente circa 17 km distinti in due tratte: il percorso che si snoda ad est, parte dalla periferia del centro urbano di Menfi fino al fiume Carboj , al limite del territorio del Comune di Sciacca.
Il tratto che si snoda ad ovest del centro urbano di Menfi è invece compreso tra la vecchia stazione ferroviaria di Menfi, il Borgo Marinaro di Porto Palo fino ad arrivare al Vallone Gurra di Mare, allacciandosi alla linea dimessa nel territorio del Comune di  Castelvetrano

Questo brevissimo percorso ciclabile parte dal mare e si snoda verso l’interno sulla vecchia linea ferroviaria Menfi-Porto Palo. Si tratta di una ferrovia a scartamento ridotto che collegava Castelvetrano-Sciacca-Magazzolo-Porto Empedocle. Il paesaggio che si attraversa vale il viaggio, poiché offre un meraviglioso palcoscenico naturale e paesaggistico: splendide colline, tappeti estesi di vigneti, spiagge di sabbia dorata.
 
Ci sono due percorsi ciclabili entrambi sulla strada da /e per Menfi.

Da Menfi a Porto Palo:
Dalla periferia meridionale di Menfi, vicino alla cantina Cantina Settesoli, la prima tratta vi porta verso il borgo marinaro di Porto Palo. L'intero percorso è stato asfaltato ed è una facile discesa di 6 km. All'arrivo ci si può tuffare nelle splendide e pulitissime acque e sostare sulle incantevoli spiagge ma anche godere di un buon cibo con prodotti a base di pesce presso i ristoranti più rinomati della zona.

Da Menfi a San Marco (Sciacca):
Andando a sud, il percorso ciclabile da Menfi a San Marco è lungo circa 13,5 km e si dirama su percorsi della vecchia linea ferroviaria più un breve tratto di strada asfaltata. Lungo la strada, in fondo alla discesa di Menfi (che è di circa 100 metri sul livello del mare). La destinazione, vicino alla spiaggia di San Marco, è a soli 7 km dal centro storico e dal porto di Sciacca, che vale la pena visitare.


Porto Palo, di Menfi è sicuramente tra le spiagge più belle e famose dell’agrigentino: col suo mare limpido, azzurro e cristallino ha ottenuto per ben 25 volte la Bandiera Blu e la Bandiera verde dal 2010. La Bandiera Blu è assegnata a tutte le spiagge che rispettano criteri come la raccolta differenziata, la sostenibilità dell’ambiente, la qualità della spiaggia e del mare, i servizi e l’accessibilità per tutti. La Bandiera Verde invece, è un riconoscimento che viene assegnato alle spiagge a portata di bambino: arenile ampio, fondali bassi sulla riva, sabbia fine, presenza di bagnini e soccorritori sulla spiaggia, presenza di strutture adatte alla famiglia.

Grande arenile, spiaggia interamente di sabbia finissima e dorata, mare pulito e acque basse sulla riva, strutture ricettive nelle immediate vicinanze e dune dove cresce il Giglio di mare e cammina lo scarabeo, Porto Palo si estende fino a Contrada Cipollazzo regalando ai bagnanti estati da sogno.
Perfino la Caretta Caretta non disdegna le sue spiagge: puntualmente, anno dopo anno depone e sue uova fra la finissima rena della zona balneare.

L’arenile è caratterizzato dalla passerella di legno, larga 6 metri e lunga circa un chilometro, fiancheggiata da palme, costruita grazie alla collaborazione di pubblico e privato, il Rotary Club Menfi Carboy, le famiglie residenti e i locali presenti; la passerella consenta lunghe passeggiate, un accesso agevole ai locali; numerose sono le persone che vi praticano footing o semplicemente amano una lunga e lenta camminata sostando di tanto in tanto sulle panche presenti.

Degna di nota è la Conca della Regina, conosciuta meglio con l’appellativo di Solette o Isolette, una piccola caletta a ridosso della spiaggia di Porto Palo; il suo nome è legato alla leggenda che vedeva la figlia dell’Emiro immergersi nuda in queste acque nelle notti di luna piena.  
Le Isolette sono di grande interesse dal punto di vista naturalistico, poiché gli scogli sommersi e la vegetazione acquatica contribuiscono ad incrementare la biodiversità con la presenza di conchiglie dalle forme molto particolari e di fossili adagiati sulla scogliera. La spiaggia è adatta agli amanti del silenzio, lontano dal frastuono della musica dei locali e dalla confusione dei bagnanti.

La costa continua verso ovest fino a raggiungere la Riserva Naturale della Foce del Fiume Belìce. L’area costiera è di circa di 25 ettari e lungo il Vallone Gurra di mare si trovano varie specie vegetali: il tamerice, il giunco pungente, il papavero cornuto. Sulla costa rocciosa è possibile scorgere il finocchio marino, lo stratice comune, le palme nane, il camedrio femmina, il narciso autunnale e differenti specie di capperi. Il vallone è popolato da lepri, donnole, ricci e volpi, mentre sul costone nidificano molte specie di uccelli migratori.
Sono possibili due accessi, il primo attraverso percorso naturalistico tra gli scogli : il punto di accesso è dietro il Porto e si prosegue a piedi; oppure si seguono le indicazioni per Porto Palo, successivamente quelle per l’agriturismo Villa Maddalena. Dopo l’agriturismo la strada diventa sterrata. Superato un vallone, si segue la cresta di una collina argillosa in direzione del mare. La strada sterrata termina su un promontorio. 

Sull’altro versante di Porto Palo, la costa prosegue lungo il Serrone Cipollazzo, un’area collinare ricoperta da sabbia e da una fitta vegetazione di canne che conferisce al promontorio un aspetto selvaggio
Da qui, procedendo verso Sciacca e superando Lido Fiori, l’altra stazione balneare di Menfi, si arriva a Capparrina di Mare, una collina ricoperta da una fitta e rigogliosa vegetazione di palme nane, sulla cui spiaggia talvolta depositano le uova le tartarughe marine della specie Caretta Caretta
Proseguendo in direzione est del litorale si può visitare la costa di Bertolino di mare, in particolare la spiaggia delle Giache Bianche caratterizzata dalla presenza di ciottoli bianchi di varie dimensioni lungo la battigia e da una piccola pineta. Proseguendo poco oltre si incontra la foce del fiume Carboj che segna il limite est del territorio di Menfi.

Sicuramente affascinante e dominante è la Torre di Porto Palo che dopo il mare e le sue spiagge è l’emblema della frazione balneare. Datata 1583 e costruita per volere del Vicerè di Sicilia Don Juan de Vega durante la dominazione di Carlo V d’Asburgo è una delle numerose torri anticorsaro fatte costruite in epoca aragonese per avvistare i possibili attacchi provenienti dal mare.
Di pianta quadrata si sviluppa su due piani con cornicione sostenuto da mensole.
Affettuosamente chiamata la “Vecchia Signora”, la torre, in stato di abbandono e fatiscente è stata nel corso degli ultimi anni protagonista di numerose vicende e sventure, fra i quali la costruzione e ristrutturazione di una villetta adiacente alla struttura che ha chiamato l’attenzione del pubblico a livello nazionale, anche grazie ai Post di Vittorio Sgarbi e di numerosi influencer, i danni subìti dall’ alluvione dell’inverno del 2021, con la frana del Costone Torre, una curiosa PEC con tanto di presunto testamento di proprietà della torre da parte di sette persone che ne rivendicavano il possesso.

Il monumento più antico della città di Menfi è ciò che rimane della Torre Federiciana annessa al castello Svevo, costruito nel 1239, su volere di Federico II di Svevia sui resti di un antico fortino arabo. Il terribile terremoto del 1968 ha distrutto il monumento e ad oggi, si può osservare ciò che ne resta dopo la ricostruzione e un importante opera di restauro e ripristino della torre.

Le strategie economiche e politiche perseguite da Federico di Hohenstaufen si possono notare nel volere ripopolare le città da lui fondate o rifondate: è proprio il caso di Menfi, infatti nel 1239 da Lodi dispose la fondazione di un primo nucleo abitativo,  un “ …ut apud Burgimill ad opus nostrum tantum habitatio fieret supra fontem magnum”. É probabile che l’imperatore volesse costruire una Domus Solaciorum, una casa di svago, una residenze di caccia, divertimento o piacere con caratteristiche tali da renderla una fortezza.
Le scelte della dislocazione di tali residenze in vari luoghi nascevano dal tipo di attività che l’imperatore svolgeva in quei territori: antichi casali con annesse masserie, castelli di caccia con parchi annessi: il Sud Italia ne è piano a conferma dell’amore che l’imperatore così come gli avi Normanni avevano per il Mezzogiorno.

Il fortino conosciuto come Castello di Burgimilluso, si trovava nella zona di caccia del basso Belice: fu proprio il sovrano Svevo ad ordinarne la costruzione con lo scopo di ripopolare  il demanio di Burgimilluso dopo la cacciata degli arabi.

Il torrione di avvistamento, la “ Torre di Borghetto”,  alta quasi 19 metri è di forma quadrangolare, composta da due blocchi affiancati di cui uno arretrato rispetto a quello principale, risente ancora dell’architettura araba e da sola basta a rendere idea dell’imponenza del castello al tempo in cui fu costruito. Il nome deriva dall’antica denominazione di Menfi, ovvero Burgio Milluso. 

Alcune fonti documentano di un assedio Angioino della torre e del castello nel 1316.

Sulla fine del XIV secolo, torre e castello passarono nelle mani di Guglielmo Peralta, poi divenne proprietà della famiglia Ventimiglia ed infine dei Tagliavia.
In periodo aragonese, Diego Tagliavia d’Aragona, al posto del diruto castello, fece costruire un palazzo contiguo con la torre, con annessa prigione “baronale”, divenendo successivamente proprietà di Ettore Pignatelli, conte di Borello. 

Alla torre è legato un raccapricciante fatto di cronaca datato 1748: un tale Pietro Calia di diciannove anni e Maria Amoroso di trenta, vennero imprigionati e poi condannati alla forca per l’omicidio della madre della donna che si opponeva al loro illecito amore. Le teste e le mani degli amanti furono appesi sulle mura come monito per i cittadini.

Sito in Piazza Vittorio Emanuele III, il progetto per il restauro della torre è degli anni Ottanta e i lavori sono iniziati a partire dagli anni Novanta.
I lavori proponevano il ripristino della torre inglobando gli antichi ruderi. La nuova struttura si sviluppa verticalmente, a più piani collegati da scale in parte a cielo aperto che connettono il nuovo edificio con la Piazza e il retrostante cortile. Nell’angolo che unisce i due angioni si è creata una scala a chiocciola che conduce al primo piano.
Originariamente la torre, era divisa in tre piani: i primi due caratterizzati da due grandi ambienti sovrastati da volte a crociera, ambienti simili a quelli riscontrati ad Augusta nel Castell Maniace.

Una delle sale presentava la copertura a volta ad ombrello simile a quelle presenti a Castel Ursino e nella Torre di Enna.
Il terrazzamento del secondo piano era rafforzato da beccatelli e dogioni.

La particolarità dell’edificio, ha fatto pensare che la struttura originaria era parte di un organismo ben più complesso, una sorta di “donjons jumeaux” tanto comuni in territorio francese; ipotesi che spiegherebbe perché nella vecchia struttura non vi fosse una’ entrata esterna alla torre, ma probabilmente l’accesso avveniva per mezzo del castello nobiliare.
Attualmente alla struttura che è fruibile vi si accede da un ampio portale da cui è possibile osservare una piccolissima parte della struttura originaria,  la facciata è realizzata in tufo, la pietra locale.
Il nuovo edificio sito in Piazza Vittorio Emanuele III è destinato ad uffici comunali, sale di rappresentanza e mostre.

L’origine del nome Naro, è ancora oggi fonte di discussione: pottrebbe derivare dal  greco “naron” significa fresco e scorrente, dal ruscello che scorre nelle sue vicinanze, oppure dal fenicio "nahar, fiamma", o dall’ arabo "nahr" , fiume.

E’ una delle tante città sicule che vantano di essere l’antica Camico, ma una favolosa leggenda vuole Naro fondata da Giganti, primi abitanti dell'isola, (d’altronde la Sicilia secondo il mito era la terra dei Ciclopi!) ipotesi sostenuta da un certo Paolo Castelli e un frate, Fra Salvatore Cappuccino, secondo i quali riportarono la notizia che “…quando si doveva costruire il cappellone, nelle fondamenta della chiesa madre, si rinvenne grande quantità di crani, cannelle, denti ed altre ossa gigantesche”.

Le  origini della città sono preistoriche come dimostrano i resti di insediamenti archeologici del periodo Neolitico e vi si trovano ancora i resti di una necropoli greca e delle catacombe paleocristiane.

Alcuni studiosi la identificano con una colonia dell'antica Gela, Akràgas Ionicum, fondata nel 680 a.C., otto anni dopo la stessa Gela e ben cento anni prima dell’attuale Agrigento,  Akragas Doricum

Durante il periodo romano la città, che probabilmente portava il nome di Carconiana, acquisisce una vocazione agricola che ne caratterizzerà la storia dei secoli successivi.

Il centro urbano conosce un periodo di sviluppo e prosperità grazie la conquista araba avvenuta  ad opera dell'emiro Ibn Hamud nell'839. Proprio gli arabi intuiscono l'importanza strategica del sito, in ottima posizione per sfruttare con l'agricoltura il territorio, controllare le terre circostanti, e ad elevare il paese a centro commerciale poiché lungo la strada di collegamento fra Agrigento e Catania.

La città durante il periodo arabo venne dunque ampliata e fortificata e permise all'emiro Ibn Hamud di resistere ai nemici finchè nel 1086 venne conquistata dai Normanni, dopo quattro mesi di assedio, ben quattordici anni dopo la conquista di Palermo ad opera del Conte Ruggero.

Nel 1233 per concessione dell'imperatore Federico II, Naro godette del privilegio di battere moneta e del titolo di "Fulgentissima", fortificata da alte mura di cinta che permettevano l’acceso alla città grazie a sette porte, di cui sola la Porta Oro è la sopravvissuta, esempio di architettura medievale arricchita da successivi ritocchi di gusto barocco.

Nel 1366 Federico IV concesse la signoria a Matteo Chiaramonte, al quale dopo soli quattro anni successe Giovanni III di Chiaramonte e nel 1374 Manfredi III della stessa famiglia.

Le chiese costruite in quel periodo sono un tripudio di arte normanna e medievale, con i portali dal bel gusto chiaramontano della Chiesa di San’Agostino e del Castello.

Fino al 1492, anno in cui fu emessa l'ordinanza di bando degli Ebrei dalla Sicilia emanata da Ferdinando II d'Aragona, Naro ospitò una comunità ebraica.

Re Carlo V, nel 1525 concesse alla città la concessione del "mero e misto imperio", cioè il permesso di esercitare giustizia in modo autonomo per mezzo del suo Vicerè il Duca di Monteleone, privilegio che fino ad allora era stato concesso solo a Palermo e Messina.

 A frenare lo sviluppo economico e demografico fu la peste nella seconda metà del '500, ma a partire dal XVII secolo, grazie all'insediamento dei principali ordini monastici, Naro riprese il suo sviluppo, sia dal punto di vista urbanistico sia da quello culturale.

Nel 1619  grazie ai  Gesuiti venne istituito l'Universitas Studiorum Omnium, uno degli Studia pre-universitari più attivi della Sicilia. L'attività che si prolungò fino all’espulsione della Compagnia di Gesù nel 1767.

Il Seicento fu un periodo di splendore e con l’arrivo di diversi ordini monastici la città si arricchì di chiese e monasteri che ancora oggi sono presenti nel tessuto urbano, dalle belle colonne tortili che adornano il portale della chiesa del SS. Salvatore ai palazzi storici.

Alla fine del '700 cominciò un lento e inarrestabile processo di decadenza.

Ferdinando IV di Borbone, costituito il Regno delle Due Sicilie, si procedette nel  ad una riforma dell'Amministrazione civile e, pertanto, la Sicilia venne ripartita in sette intendenze, da cui dipendevano i Comuni. Naro, quindi, divenne Comune dell'Intendenza di "Girgenti".

Ovunque è un tripudio di castelli, chiese, palazzi dal gusto barocco, arabo-normanno, Naro è davvero splendida da visitare dal Castello di Chiaramonte al Duomo Normanno, dal Collegio dei Gesuiti alla gotica Chiesa di Santa Caterina alla barocca chiesa di San Francesco di Assisi.

Il Castello Chiaramontano, dichiarato monumento nazionale già dal 1912, fra l’altro, oltre che per la sua bellezza, l’architettura incantevole, gli affreschi in alcune delle sue volte e pareti, merita una visita per la Mostra permanente di abiti e accessori d’epoca.

 

Palma di Montechiaro, piccola cittadina in provincia di Agrigento, risulta abitata già dal II millennio a.C. come dimostrano le presenze di numerose tombe sicane.

Secondo un ipotesi, il suo nome trae origine dai palmizi che fiancheggiano il vicino fiume, oppure al fatto che nello stemma gentilizio della famiglia De Caro, fondatori della cittadina, da cui discendono i Tomasi, vi era una palma su campo azzurro.

Il primo atto della storia di Palma, è la costruzione del castello nel 1353 ad opera di Federico Prefoglio che di lì a poco passò alla famiglia dei Chiaramonte, da cui prese il nome.

La fondazione della città di Palma porta la data del 3 maggio 1637: fu la baronia di Montechiaro, grazie ai fratelli gemelli Giulio Tomasi e Carlo che ottenne il 16 gennaio 1637 la "licentia populandi" dal re Filippo IV di Spagna.

Fu però un potente zio dei gemelli, Mario Tomasi de Caro, l'effettivo artefice della fondazione.

Capitano del Sant'Uffizio dell'Inquisizione di Licata e governatore della stessa città, si deve alla sua persona la posa della prima pietra della Chiesa della Vergine del Rosario.

A difesa della città dagli attacchi provenienti dal mare dei pirati saraceni il duca Carlo fece costruire, dopo avere ottenuto il permesso da Filippo IV di Spagna, una torre che dedicò a San Carlo.

La pianta della città, doveva seguire un ideale pianta ortogonale, secondo i progetti  redatti dall'astronomo e primo arciprete di Palma, Giovan Battista Odierna. Egli si occupò di redigere il progetto del nuovo centro, sulla base di complessi calcoli astronomici relativi alla posizione degli astri nel giorno e nell’ora della fondazione del paese.

Nella Chiesa di Maria Santissima del Rosario, nella sacrestia, si conserva una tela che raffigura l'Odierna al suo tavolo di studio con un disegno col titolo “Chronologia Terrae Palmae”.

La storia di Palma è fortemente intrecciata con quella della famiglia Tomasi di Lampedusa di cui Giuseppe Tomasi, lo scrittore è l’esponente più conosciuto.

Il capostipite, Mario Tomasi, era giunto in Sicilia al seguito di Marcantonio Colonna, che lo aveva nominato Capitano d'armi di Licata, solo nel 1585. Il matrimonio con Francesca Caro di Montechiaro segnò la sua accettazione nell'alto ceto dell’aristocrazia nobiliare.

Giulio, detto il Duca Santo, cagionevole di salute e da sempre attratto dalla vita monastica, lascia la moglie (grazie ad una concessione papale) Rosalia Traina, nipote del potente Vescovo di Agrigento per entrare nell'Ordine dei chierici regolari teatini.

Rosalia Traina, prima duchessa di Palma, decide a sua volta di entrare in monastero insieme alle figlie, col nome di Suor Maria Seppellita e lì rimane sino alla sua morte. Il monastero era stato fortemente voluto da una delle figlie del Duca, Isabella Tomasi (la Beata Corbera del Gattopardo).

Isabella, una delle figlie, entrata nel monastero col nome di Suor Maria Crocifissa della Concezione divenne una celebre mistica, punto di riferimento dei nobili della Sicilia e non per il suo fervore religioso e il suo grande misticismo, nella sua biografia si ricordano innumerevoli tentazioni da parte del demonio, e lettere colme di fede e devozione. Famosa è a tal proposito la famigerata “Lettera del Diavolo”.

Il penultimo dei Tomasi di Lampedusa Giuseppe, autore de "Il Gattopardo", possedeva ancora vaste proprietà nella zona di Palma, e vi ambientò gran parte delle vicende del suo romanzo, mascherandone il nome in "Donnafugata".

Innumerevoli furono le iniziative sociali e filantropiche dei Tomasi,: la costruzione della Chiesa di Santa Maria della Luce, costituzione una sorta di sussidi di disoccupazione, colonna frumentaria (una sorta di monte di pietà), costruzione di  un ospedale, un asilo per le fanciulle bisognose e un collegio per la rieducazione delle "reepentite ".

La prima dimora dei Tomasi in Palma è il Palazzo ducale che nel 1659 fu trasformato in Monastero delle Benedettine per accogliere le figlie e la moglie del Duca Santo. Attigua al Monastero vi è la chiesetta di Maria Santissima del Rosario. Entrambi esempio pregevole del barocco siciliano.

Altro esempio del barocco siciliano è la Chiesa Madre, con annessi l'Oratorio del Santissimo Sacramento e l'Oratorio del Santissimo Rosario, che sorge maestosa in cima ad una lunga e larga scalinata. Sono ancora da ricordare l'ex convento dei Padri Scolopi, oggi sede del Comune, con annessa la chiesa della Sacra Famiglia, la Chiesa di Sant'Angelo, detta della Batiella. Altre chiese sono degne di menzione come la Chiesa del Purgatorio e la Chiesa del Collegio di Maria.

Nel 1812 Palma venne eletto a comune autonomo.

L'11 luglio del 1943, fu teatro dello lo sbarco anglo-americano in Sicilia.

Nel dopoguerra, diverrà terra di forte emigrazione, specie verso il nord Italia ed i paesi dell'Europa Occidentale.

Tra le testimonianze storico-architettoniche degne di nota sono: il Palazzo Ducale, costruito nel Seicento, in stile barocco; la chiesa del Santissimo Rosario, la cui struttura originaria è del 1637; la chiesa madre, innalzata nel XVIII secolo, al cui interno è custodita la tomba dell’astronomo G.B. Odierna (1597-1660); il monastero di Maria Santissima del Rosario; il castello dei Chiaromonte, del periodo medievale; la torre di San Carlo, edificata nel Seicento.

Poco lontano dal centro urbano è possibile ammirare il sito archeologico di contrada Piano del Vento.

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